
IL ROMANZO
Quando una notte, al largo di Uroa, a Zanzibar, Lucien Modigliani scorge un’isola in fiamme, pensa a un’allucinazione. Non ci sono isole, in quel tratto di costa. Per il vecchio Suleiman Makungu, invece, si tratta di un presagio di sventura.
Il giorno dopo, nel villaggio viene ritrovato il corpo senza vita di una ragazza, Asha. Il modo in cui è stata ammazzata ricorda a Suleiman una vecchia leggenda: quella di un demone, il Popobawa, che si dice infesti l’isola. È stato davvero lui a uccidere la ragazza?
Toccherà ad alcuni amici che gravitano intorno al Livingstone Café di Stone Town risolvere il mistero: Suleiman, vecchio e scorbutico abitante del posto, Lucien, un espatriato francese che sbarca il lunario scrivendo frasi per i biscotti della fortuna, Ronald, un inglese convinto che Freddie Mercury sia ancora vivo e Jabari, una guida turistica locale afflitta dalla «sindrome di Tourette».
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1
A poche miglia dalla costa, l’isola era in fiamme.
Bruciava nel buio e i bagliori rischiaravano l’orizzonte.
Le lingue di fuoco salivano verso il cielo spingendo in alto nuvole di fumo nere e compatte. Un crepitio sommesso giungeva sino a riva, portato dalla brezza notturna.
L’incendio divampava.
In quel tratto di mare, però, un’isola non c’era.
Almeno, non c’era mai stata.
- Non è possibile – disse Lucien continuando a guardare fisso in quella direzione. – Le isole non saltano fuori dal nulla. Dev’essere una specie di allucinazione.
Suleiman si sedette sulla sabbia e cinse le ginocchia con entrambe le braccia.
- Non è un’allucinazione, ndugu – disse scuotendo il capo. – È un presagio. Un presagio di sventura.
2
Più tardi, a un tavolino sgangherato del Kambackocho, Suleiman trangugiò un bicchiere di konyagi e iniziò a spiegare come stavano le cose.
- Quello che abbiamo visto è un segno – disse. – È mwako kisiwa, l’isola che brucia. Talvolta appare di notte, in lontananza. E annuncia una sciagura.
Lucien Modigliani guardò l’amico senza capire. Viveva a Zanzibar da dieci anni e ancora non riusciva a orientarsi tra tutte le leggende che popolavano quella terra.
Buttò giù anche lui un sorso di liquore e le fiamme gli scesero dritto nello stomaco.
Vuotò il bicchiere e lo riempì di nuovo.
Dopo mezza bottiglia di quell’intruglio distillato dalla canna da zucchero, fu pronto a credere a qualsiasi cosa.
E comunque, Suleiman era un tipo convincente.
Era uno degli abitanti più anziani di Uroa e questo già bastava a conferirgli una certa autorevolezza. Inoltre parlava a voce bassa, senza enfasi, guardando lontano. Sottolineava le parole più importanti drizzando appena il mento, che era circondato da una folta barba bianca; poi tornava a fissare un punto imprecisato alle spalle dell’interlocutore, immobile.
- Due anni fa l’isola è comparsa più a nord, a Pwani Mchangani, una notte di novembre – disse. – Il mattino dopo ha cominciato a piovere e per dieci giorni non ha più smesso. Le strade si sono allagate, un villaggio giù al sud è stato travolto da una frana e sono morte sedici persone. Nel 2011, invece, mwako kisiwa è apparsa a Stone Town, davanti al vecchio forte. Il giorno seguente, un traghetto diretto a Pemba è affondato di fronte a Nungwi. A bordo c’erano seicento passeggeri. Parecchi di loro non sono stati più ripescati.
- Lo Spice Islanders. Me lo ricordo. Nessuno però ha parlato di un’isola in fiamme, allora.
- Tu non hai incontrato nessuno di quelli che l’hanno vista, Lucio. Io sì.
Qualche anno prima, Suleiman aveva deciso che Lucien era un brutto nome. Che Lucio era meglio. Naturalmente non c’era stato verso di fargli cambiare idea.
- Le isole non saltano fuori dal nulla – disse di nuovo Lucien, meno convinto. – Prendiamo una barca. Andiamo a vedere.
- È una notte senza luna. La barca si perderebbe in mare. Inoltre c’è bassa marea. Ci toccherebbe spingerla per un bel po’, prima di uscire dalla secca.
- Lo faremo domattina, allora.
Suleiman prese un cubetto dalla ciotola del ghiaccio e lo lasciò cadere nel bicchiere.
- Guarda che cosa rimarrà dell’isola, domattina – disse indicandolo con un dito.
- Forse si tratta di soltanto un dhow. Qualche buontempone ha dato fuoco a un’imbarcazione e l’ha spinta al largo.
- Non vuoi proprio capire. È un segno. Accadrà qualcosa.
La ragazza che serviva ai tavoli si avvicinò e cominciò a sparecchiare. Lucien posò una mano sulla bottiglia.
Suleiman gliela spostò con un gesto brusco.
- Andiamo – disse. – Stanno chiudendo.